Mer. Lug 16th, 2025
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La vita è come il jazz, meglio improvvisare. Mi torna spesso alla mente questa frase nei momenti in cui la vita si fa caotica e l’impossibilità di trovare un filo conduttore rende possibile unicamente cavalcare le situazioni che man mano si presentano, trovare un ordine nel caos, trovare il proprio senso nella mancanza di senso degli orrori grandi e piccoli quotidiani.

Il jazz è come la vita: per saperlo fare bene, devi conoscere bene le regole ed il ritmo – solo dopo puoi permetterti di scatenarti sullo spartito, di fare quello che vuoi piuttosto di ciò che dovresti; chiunque vuole sovvertire il preesistente deve conoscerlo prima e poi comprenderlo appieno. La società in cui viviamo oggi è caotica, eppure si può spiegare, è la voglia di farlo e di ammettere ciò che non funziona che manca.
Anche quel genere di musica che apparentemente è più personale ed intima, in realtà risuona con storie di generazioni e di lotte sociali; la musica dei neri che erano schiavizzati nei campi è arrivata attraverso tante evoluzioni fino a noi, che al giorno d’oggi ancora lottiamo per il diritto ad una condizione di vita migliore – o almeno qualcuno di noi ancora lo fa. Siamo tutti schiavi di qualcosa in fondo, anche e soprattutto dei nostri sentimenti: quando ho ascoltato per la prima volta Chet Baker o Miles Davis mi sono sentito per la prima volta capito da qualcuno che non avevo mai conosciuto e che pure sentivo condividere il mio stesso peso esistenziale.

La malinconia, l’amore, la solitudine, la gioia di vivere malgrado tutto, la notte come rifugio per i pensieri più inconfessabili. È la magia della musica, quella di essere un linguaggio universale, che puoi apprezzare e recepire anche senza essere in grado di replicarlo e quante volte ho pensato che mi sarebbe piaciuto avere i mezzi per essere un artista! Tuttavia è anche vero che ognuno di noi è un artista nel riuscire a portare avanti la propria vita senza farsi trascinare nel vortice dell’entropia; d’altronde “ars” dal latino significa mestiere o modo di fare ed è quello che ognuno di noi possiede nei rispettivi ambiti in cui si trova a dover agire.

Chissà se anche la Terza Guerra Mondiale è improvvisazione, se arriverà quasi per caso come altri eventi catastrofici del passato, per una serie di azzardi poco ponderati oppure se si può ancora evitare; io da piccolo umano in balia delle onde anomale, come siamo tutti in fondo, osservo alla finestra gli eventi colossali della storia (ma qualcuno non disse nel 1945 o 1991 che era finita?) che si dipanano in contemporanea con le piccole storie quotidiane di ognuno di noi. Osservo e penso che bisogna essere pronti a tutto, che in fondo questo è il bello ed il brutto fusi assieme della vita, la dualità dell’uomo poetico eppure così feroce.

Metto su Youtube un pezzo di Glenn Miller (sopportando le pubblicità sempre più invasive), il grande musicista morto da aviatore durante il secondo conflitto mondiale. Mi sono sempre piaciute un sacco le cosiddette big bands di quei tempi, è ironico come anni così difficili possano produrre qualcosa di così bello e sognante, ma forse ha un senso come meccanismo di difesa sociale, di fuga. Rifugiarsi in un mondo fintamente felice.

Metto su un CD (esistono ancora?) di John Coltrane, uno dei più belli, Blue Train. Chissà se il treno della pace riuscirà a portare la nostra generazione in salvo, o saremo destinati al massacro come tanti giovani speranzosi che volevano cambiare il mondo in un passato non troppo distante…in ogni caso noi non smetteremo di cercare di farlo, non smetteremo mai di amare anche tra la macerie fisiche e morali di ciò che siamo stati. In fondo, la vita è come il jazz no? Allora anche noi sapremo improvvisare, o almeno proveremo a farlo. Metto su un vinile (sono tornati di moda) di Duke Ellington, e spero per il meglio; anche scrivere alla fine è solamente un flusso di coscienza.

di Francesco Merico

Scrivo di Filosofia, Storia, Arte, Politica, Sport, Attualità. Mi sta a cuore il futuro del mio Territorio, del Meridione e della nostra povera Patria.

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