Nei giorni in cui l’informazione è invasa dalle polemiche e dalle preoccupazioni legate ai dazi che gli USA di Trump sono intenzionati ad applicare in virtù della nuova politica isolazionista varata dall’amministrazione da poco insediatasi, le preoccupazioni sulle sorti dell’Europa – di cui l’Italia è parte integrante – all’interno dello scacchiere geopolitico sono le più alte mai percepite da ottant’anni a questa parte. Nemmeno il clima della tensione dovuta alla Guerra Fredda aveva portato mai ad un’esasperazione di questa portata: lì, in quei decenni, vi era un ordine; di certo discutibile per ciò su cui era fondato, nonché minacciato dallo spauracchio dell’atomica (che ad oggi non ci ha comunque abbandonati), ma in grado di garantire degli equilibri politici ed un certo grado di prosperità economica in particolare dalla nostra parte del muro.
Oggi non ci sono più muri, ma anzi sembra che i confini siano diventati di nuovo pericolosamente “penetrabili” in molte parti del globo, un clima che con le dovute differenze temporali ricorda pericolosamente quello degli anni trenta del secolo scorso: un’Europa in rivolta con se stessa, una Russia aggressiva, degli Stati Uniti isolati (ma pronti al conflitto) ed una pericolosa forza militare in ascesa nel Pacifico. Gli ingredienti ci sono tutti. La differenza sta nel fatto che allora a minacciare l’ordine costituito era la potenza del Giappone imperialista, oggi è una Cina superpotenza e che è rimasta comunista dai tempi di Mao molto più nella forma che nella reale sostanza dei fatti. In effetti se si analizza quest’ultima il dragone negli ultimi decenni ha conosciuto una crescita economica e di rilevanza internazionale legata ad una nuova forma di capitalismo spinto saldamente legato ad un controllo centrale autoritario ed invalicabile dello stato; molto diverso da quello liberista a trazione privata ed individualistica di stampo americano, dove oggettivamente è proprio lo stato stesso a trovarsi sovente ostaggio delle lobbies di potere più o meno oscure che ne direzionano le decisioni. Due visioni contrapposte, due visioni differenti filosoficamente ed amministrativamente di governare il mondo, come già si era verificato nello scontro con il blocco sovietico: ma non è detto che questa volta l’esito finale sarà di certo il medesimo.
Questo perché negli ultimi decenni il numero di potenze che ha scelto di disallinearsi dal precedentemente consolidato sistema atlantista di dominio mondiale è aumentato considerevolmente, e sebbene la NATO ad oggi rappresenti ancora indiscutibilmente la forza militare più importante per i mezzi tecnologici di cui dispone, le forze combinate di Paesi come India, Pakistan, Brasile, Sudafrica, Iran ed altri unite appunto a quella sinorussa rappresentano una potenziale minaccia senza precedenti. Certo, la guerra di oggi non è la guerra di ieri principalmente a causa della deterrenza nucleare e si combatte molto più oramai sul piano economico che su quello convenzionale: non è un caso che l’alleanza delle nazioni emergenti sia nata appunto come alleanza di natura commerciale, ovvero il BRIC poi divenuto BRICS, alleanza che continua negli anni ad allargarsi preparandosi ad includere mezzo mondo o più.
Eh sì, proprio così, perché nella nostra limitata visione delle cose come spesso accade noi tendiamo a guardare solo al nostro orticello e non ci rendiamo conto che dalla nostra posizione egemone ignoriamo delle masse di persone gigantesche che ambiscono alla nostra stessa qualità di vita e si stanno sollevando per cercare di prendere il controllo delle loro e delle nostre esistenze. L’aggravamento della crisi attuale appare in questo senso inevitabile, e l’epicentro del terremoto anche in questo caso sarà il Pacifico – ironia del nome! Luogo di scontro geograficamente ideale tra Occidente ed Oriente, tra due parti del globo con culture antiche e diametralmente opposte su molti piani; le ingerenze americane in Asia non sono mai cessate (basti pensare a Corea e Vietnam), ma oggi quel continente ha una superpotenza indiscussa a trainarlo e dunque la situazione presenta di conseguenza un livello di criticità ben più alto.
Se nel 1942 nella celebre battaglia delle Midway su quei mari furono decisi gran parte dei destini degli equilibri mondiali che sarebberi venuti, oggi Taiwan rappresenta il cuore della sfida e potrebbe purtroppo rappresentare l’innesco di un terzo conflitto su scala globale: questa piccola isola infatti possiede un valore economico ma anche simbolico abnorme, ed il sospetto che purtroppo dopo l’Ucraina e dopo Gaza possa rappresentare un’ulteriore se non definitiva escalation è molto forte. Dal canto nostro ci troviamo ad osservare questa situazione di cose sempre più defilati e meno rilevanti, molto probabilmente volendo rifiutare di ammetterlo a noi stessi, forse colpevoli di essere stati per troppo tempo periferia sonnacchiosa ed opulenta di un impero che oggi comincia a mostrare segni sempre più inequivocabili di decadenza; d’altronde noi che studiamo approfonditamente la storia di Roma, dovremmo sapere bene che gli imperi cadono per spinte contemporanee interne ed esterne.
E allora, siamo noi pronti a raccogliere il guanto di sfida che i prossimi decenni lanceranno alle nuove generazioni, saremo in grado di affrontare la messa in discussione del mondo che davamo ormai per scontato e per sempre pacificato a nostro beneficio? Chissà, al netto dei catastrofismi che pur è umano la paura evochi istintivamente dentro ognuno di noi, forse questo potrà rappresentare anche un’occasione di cambiamento e di messa in discussione di sistemi che ormai hanno smesso da tempo di funzionare a dovere. Forse oltre il conflitto in sé si cela la possibilità di una futura sintesi tra i popoli che possa condurci ad un modo di vivere più equo, con meno povertà e con dei valori collettivi e sociali rinnovati: almeno, questo ci tocca credere.
La Seconda Guerra del Pacifico (per il controllo del mondo)
