Lun. Nov 10th, 2025

Dubbi angosciosi sulla (ri)candidatura di Trump al Nobel per la Pace

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Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha recentemente rilanciato la candidatura di Donald Trump al Premio Nobel per la Pace, in virtù del suo ruolo negli Accordi di Abramo e nel presunto riequilibrio del Medio Oriente. Una “pace” che apre interrogativi rilevanti sulla natura stessa del riconoscimento. È giusto attribuire a Trump un premio che pretende di incarnare un ideale universale? E quale idea di pace viene in tal modo consacrata?

ORIGINE E SVILUPPO DEL NOBEL PER LA PACE – Dalla sua istituzione (1901) ad oggi, il Premio Nobel per la Pace ha mutato pelle, adattandosi alle fratture del mondo e ai mutamenti del potere. Nella sua prima stagione, dal primo Novecento alla Seconda guerra mondiale, si configurò come strumento di una cultura borghese e filantropica, premiando pacifisti morali e giuristi internazionalisti, perché interpreti di una pace intesa come orizzonte etico-universale. Dopo la Seconda guerra mondiale, si aprì la fase del compromesso geopolitico: in piena Guerra fredda, il Nobel diventò terreno di equilibrio tra blocchi, premiando tanto la diplomazia statuale (Sadat, Begin, Brandt) quanto la dissidenza filo-occidentale (Sakharov). Dagli anni Novanta ad oggi si è affermata invece una fase simbolica e umanitaria, in cui la pace si estende a temi come i diritti civili, l’ambiente o il ruolo delle donne e della società civile. Il premio seleziona le nuove figure morali del nostro tempo, attribuendo loro un riconoscimento etico e simbolico. Com’è chiaro, in tutte queste stagioni il Nobel ha sempre rappresentato una narrazione della pace, più che il suo compimento; dando vita ad una sorta di architettura selettiva del ricordo, che sancisce chi e in quali termini abbia il diritto di essere riconosciuto come “portatore di pace”.

QUALE PACE E’ “NOBELLABILE” – Abbiamo qui una notevole distinzione. Da un lato, la pace è intesa come un dovere razionale e universale, l’imperativo kantiano fondato sul diritto cosmopolitico, sul rispetto della dignità umana e su un ordine giusto tra le nazioni. Dall’altro, la pace è vista come sospensione della guerra garantita dal potere, incarnando più una visione hobbesiana della realtà. Questa distinzione attraversa l’intera storia del premio, lasciando il giusto spazio anche per altri interrogativi, sollevati dalle riflessioni di altri pensatori. Ogni atto etico, compreso il conferimento di un riconoscimento, comporta una responsabilità per il futuro, e dunque non può prescindere dai suoi effetti globali (Hans Jonas). Quali effetti futuri genereranno le azioni di Donald Trump? Va poi delineata una distinzione tra pace negativa (assenza di violenza diretta) e pace positiva (giustizia sociale, libertà e inclusione)(Johan Galtung). Il Nobel a Trump quale delle due premierebbe? Da ultimo, non si può ignorare che ogni atto di pace è anche un atto di potere: decidere chi rappresenta la pace equivale a definire gli amici e i nemici del genere umano (Carl Schmitt). Quale organo può mai essere tanto rappresentativo da compiere un riconoscimento tanto importante?

IL MONDO SENZA CENTRO E IL DECENTRAMENTO DEI RICONOSCIMENTI – L’attuale scenario mondiale è segnato dal decentramento dei poteri e dalla pluralità di etiche politiche. Il Premio Nobel per la Pace agisce come atto di riconoscimento simbolico, secondo una grammatica culturale marcatamente occidentale (o, peggio ancora, post-liberale). Inoltre, si fonda su valori percepiti, filtrati da un comitato ristretto che è espressione di una visione etica europea e nordamericana. In molti contesti extra-occidentali, il Nobel può essere accolto con diffidenza e sospetto, visto come ingerenza o addirittura come provocazione morale. Tuttavia, il premio continua a esercitare un potere semiotico rilevante, selezionando figure da brandire come simboli universali di pace secondo un paradigma etico che si pretende ancora egemone. In questo senso, il tentativo del criminale di guerra Netanyahu rappresenta una forma di appropriazione semiotica: s’insinua vigliaccamente nella categoria di pace per potersi autoproclamare suo portatore.

OLTRE IL NOBEL, PER UN CONCETTO PERPETUO DI PACE – Se si scegliesse di attribuire il Nobel a Donald Trump, nel pieno di un conflitto devastante e in nome di una pace parziale e di parte, si esporrebbe il premio al rischio di definitiva delegittimazione morale. L’unico modo per restituirgli senso universale è renderlo finalmente democratico e universale, magari anche attraverso una votazione mondiale. Solo un riconoscimento espresso dal popolo globale può incarnare davvero l’ideale kantiano di una pace condivisa. E chissà, magari, portare anche ad esiti inaspettati sui potenziali destinatari di questa vetusta onorificenza.

di Domenico Birardi

Co-founder di Meta Sud. Gestisce il podcast "Mappe della contemporaneità", edito da Meta Sud.

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