Una penna si sveglia a mezzogiorno tutta scazzata, reduce da una notte insonne, e decide che è il momento di deformare la realtà che la circonda. È una penna che non vuol sentir ragioni, dice le cose che non puoi dire davanti a tutti.
Quadretti ospita ciò che le passa per la testa, anzi soprattutto per lo stomaco. In questa rubrica si sorriderà, si storcerà il naso, si lavorerà d’immaginazione. Tutto questo in letture che vi ruberanno sì e no un paio di minuti. Pronti?
Ci sono paesi abitati solo da vecchi. Vecchi più giovani, vecchi più vecchi. Vecchi che fanno baldoria perché sentono che quella sarà l’ultima notte, vecchi che se ne stanno fermi fermi sempre nello stesso punto, speranzosi di addormentarsi sulla loro poltrona mezza scassata e di non risvegliarsi più. Una mattina arriva una famiglia di turisti al bar della piazza più grande – nonché l’unica – e la maggior parte dei tavolini è occupata da terzetti e quartetti di vecchi che si sono messi d’accordo per indossare tutti gli stessi scarponi antinfortunistici – alla faccia dei 30°C all’ombra – che spuntano dall’orlo dei pantaloni abbinati all’immancabile canotta a costine slabbrata e stinta, tutta aderente sull’addome rigonfio da rospo ubriacone. Vigorosi inverecondi vigilanti della piazza a tutte le ore. Poi ci sono i vecchi della villa comunale, loro sono decisamente tra i vecchi più vecchi. Dalla coppola a tinta unita sbucano nivei o argentei crini sfilacciati che sembrano incollati vicino alle orecchie. Accanto al viso incartapecorito ronza una mosca, la mano la scaccia con forza ma quella perpetua il suo tormento, tenace, perché sulla spalla della giacca buona della domenica ci ha defecato generosamente un piccione che forse non aveva preso i fermenti lattici quella mattina. Il vecchio fa a gara a chi sputa il catarro più lontano, col compare dirimpettaio di panchina. Basta sollevare l’angolo della bocca in modo ammiccante, per intendersi sull’inizio ufficiale della tenzone. Il dirimpettaio si sbottona il colletto della camicia, mostrando la sporadica peluria sul petto e il crocifisso della Prima Comunione ancora lucente.
Infine, ci sono le vecchie. Vecchie ammuffite nelle sottane e nei grembiuli, rannicchiate su seggiole di plastica, ognuna davanti al proprio uscio, scultoree copie neoclassiche corrose dalle intemperie lungo il viale alberato che introduce alla reggia. Posano lo sguardo sui passanti con la discrezione di quei loro occhi di tarsio perennemente giudicanti.
I paesi da vecchi sono paesi da vecchi. Sono ecosistemi governati da un delicato equilibrio, patrimoni da tutelare. Sono l’ultimo baluardo della frutta di stagione contro gli OGM, l’ultimo avamposto del quotidiano della domenica contro le riviste digitali. Tu arrivi in questi paesi e il vento soffia una voce che accompagna i tuoi passi. Chiudi gli occhi e lasciati andare. Ascolta bene, eccola. Un’eco soave…
…ma dove andremo a finire, si stava meglio quando si stava peggio…. da quando non c’è più la lira non si capisce più niente…