La condizione di occupazione della democrazia e la paralisi del sistema amministrativo dei Comuni del Mezzogiorno impongono un intervento sistematico e incisivo. In altri versi, il nodo gordiano della satrapia politica necessita di una soluzione alessandrina.
Il fine ultimo della nostra riforma della partecipazione popolare è di ampio, ampissimo respiro. Non intende promettere la tanto transeunte quanto immediata incisività del cittadino nella gestione del potere amministrativo; non è con le modifiche formali che si garantisce questo. E poi fosse solo per mero cambio di carte, non varrebbe la pena di muovere un dito per contrastare la satrapia politica. Sarebbe una battaglia persa. La prospettiva, l’orizzonte teorico e pratico è invece la metamorfosi qualitativa della metodologia di partecipazione politica del cittadino: un cambio di paradigma che conduce ad un cambiamento rivoluzionario. Il sentiero normativo della riforma conduce verso il capovolgimento dalla quantità in qualità e fa della democrazia partecipativa comunale il locus della storicizzazione dell’individuo e della gestione del potere.
LA PARTECIPAZIONE POPOLARE – Attraverso la rivoluzione democratica il cittadino meridionale ha la possibilità di attribuire nuovamente un senso alla sua partecipazione politica, ritagliandosi un ruolo storico, politico e sociale nella comunità in cui vive. La rottura del muro del pianto e del lamento che cinge il potentato elettorale ha in seno l’apertura della vista ad ampie vallate, libere e rigogliose, oltreché lo scioglimento delle briglie alle mandrie di cittadini, pronte ad una vera e propria galoppata verso il potere democratico.
La natura sistematica della riforma conduce inesorabile all’individuazione di due passaggi nodali; due riforme nella riforma, che nel loro complesso costituiscono i presupposti per la realizzazione dei fini delineati nelle righe precedenti.
La prima riforma consiste nell’introduzione di un regolamento comunale che disciplini l’utilizzo di alcuni istituti di democrazia partecipativa. Il passaggio rivela la sua importanza nodale proprio nell’atto che costituisce il principio della liberazione dalla tirannia della satrapia politica: il riconoscimento formale degli istituti per contrastarne il potere.
La riforma non ambisce a sofisticherie né a manierismi d’occasione, ma ha l’obiettivo di essere chiara, limpida e semplice, cosicché tutte le fasce della popolazione possano padroneggiare tali strumenti.
Gli strumenti che sono messi a disposizione del cittadino sono divisibili in due categorie: propositivi e di controllo; deliberativi e abrogativi.
Quanto alla prima categoria, gli strumenti propositivi e di controllo sono funzionali all’ottenimento di risposte, oltreché a influenzare l’operato dell’amministrazione comunale con proposte generiche. Il regolamento disciplina: l’interrogazione con risposta documentata e le petizioni popolari.
Quanto alla seconda, gli strumenti deliberativi e abrogativi sono indirizzati a permettere al cittadino di divenire parte attiva nella gestione del potere amministrativo, formulando proprie proposte e intervenendo nella risoluzione dei problemi. Il regolamento prevede: la proposta di deliberazione, il referendum deliberativo o abrogativo e il bilancio partecipativo.
È bene precisare che la mera approvazione di una sequela di strumenti di partecipazione popolare non rappresenta assolutamente una garanzia della loro applicazione. Anzi, come spesso la storia ha dimostrato, è proprio la certezza popolare d’averli conquistati una volta per tutte ad aver permesso a taluni governanti di violarli. Insomma, è successivamente necessario fare in modo che essi vengano attuati.
Uno degli scogli maggiori per la partecipazione, benché ci siano gli strumenti, è proprio l’applicazione delle conoscenze tecniche (in specie giuridiche) che permettano un loro concreto utilizzo. Insomma, come potrebbe mai un contadino, un operaio o financo un analfabeta utilizzare la proposta di deliberazione per partecipare alla gestione della terra in cui vive? Dovrebbe forse esserne tagliato fuori, poiché troppo ignorante per farsi strada? Nossignori, questa sarebbe null’altro che una epistocrazia, altrimenti.
Per questo, il regolamento prevede che il Comune – con gli uffici tecnici comunali – sia il luogo in cui i cittadini potranno ottenere la formalizzazione giuridica delle loro proposte. Cosicché il contadino, l’operaio o l’analfabeta possano eludere lo scoglio della conoscenza tecnica, rubare il fuoco al potentato elettorale e beneficiarne per governare le asperità della democraticissima natura.
LE PRIMARIE CIVICHE COMUNALI – La seconda riforma è il naturale punto di sfocio della prima: la partecipazione popolare alla costruzione delle candidature e dei programmi elettorali. Essa, con l’approvazione di un secondo regolamento, istituisce le primarie civiche.
Uno dei punti nodali del processo politico della satrapia è proprio l’elezione. Lì il sistema clientelare ricomincia a funzionare e il dazio viene liquidato dalla cittadinanza in forma di voto. Calano dunque candidature e programmi, totalmente disincagliati dalla popolazione, dai bilanci e dalle esigenze concrete, su sola volontà della satrapia politica. Alla cittadinanza non resta che pagare il dazio e accettare l’offerta elettorale.
Le primarie civiche comunali hanno invece una prospettiva opposta: permettono alla popolazione di partecipare alla scelta dei candidati e di contribuire alla formazione dei programmi elettorali, che vengono delineati nell’ottica di una reale, trasparente sostenibilità di bilancio.
Spesso le primarie, soprattutto nei partiti, sono state il maquillage politico per tessuti profondamente non democratici. Proprio per queste ragioni, le primarie civiche sono accompagnate dall’istituzione municipale nel loro svolgimento e coadiuvate nella garanzia della trasparenza programmatica. Segnatamente il Comune mette a disposizione, mediante l’attività dei propri uffici, un calcolo presuntivo del bilancio del quinquennio amministrativo per cui si concorre. In questo modo, i partecipanti alle primarie potranno avere contezza del totale delle risorse economiche stimate a disposizione nel quinquennio, e sulla base di quelle delineare le proposte di programma elettorale.
Sulla base della disponibilità economica presuntiva, vengono poi formulate le singole proposte, con annesso preventivo economico. Cosicché la costruzione del programma elettorale si disvela nella sua totale trasparenza e coerenza economica, delineando i costi e la capienza massima delle proposte. La scelta democratica e l’interazione tra cittadini votanti e candidati permette una preventiva scrematura delle candidature e garantisce l’acquisizione di una reale legittimità del candidato, risultante di un processo di scelta comune.
SOLO IL POPOLO PUÒ – La rivoluzione democratica si compie pressoché in questi termini; e grazie alla sua natura proteiforme, garantisce un approccio sistematico e organico alla democrazia amministrativa. Le due riforme tratteggiate nelle righe precedenti disboscano la fitta selva della satrapia politica e aprono la strada alla riconquista di un ruolo storico del cittadino.
La malattia che affligge il Mezzogiorno, quantomeno nella sua dimensione amministrativa e comunale, ha radici molto risalenti ed estirparle non è affare dappoco. Il Sud d’Italia si ritrova davanti ad un bivio: scegliere di abbandonarsi allo sradicamento della tecnica e alla cristallizzazione delle satrapie parassitarie, oppure riprendere in mano il suo destino ripartendo dai territori. Il compito di scegliere la strada da imboccare è del popolo, unico vero conducente di tutta la storia del Sud.