Gio. Gen 16th, 2025

Il Natale, l’assenza del dono e l’inizio di una nuova campagna

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Questo Natale non è differente dagli altri. Nidiate di consumatori si sono accanite nell’acquisto di regali di ogni sorta, riducendo la letteraria atmosfera natalizia in un banale scambio di beni, quasi in una prestazione corrispettiva. L’aspettativa ascendente del rinnovamento sociale e politico – appannaggio di ogni inverno che arriva – si è sciolta nel monotono, avvilente sabba in cui s’approva la legge di bilancio, sino a bruciarsi interamente nella consueta querelle su questo o quello spreco. Legge di bilancio approvata, tutti salvi, buon Natale, ecco il regalo. Evidente specchio della conciliazione temporanea e apparente del Natale nostrano. Proprio al momento della consegna, nel preciso istante del passaggio del regalo, tutto svanisce e si dirada. Questo Natale non è affatto diverso dagli altri, perché è “presente”. E «mai, come attraverso questo piccolo fatto, la miseria mi è apparsa in tutta la sua essenza di cieca e maligna bestialità» (Leonardo Sciascia, Le parrocchie di Regalpretra, 1956, Laterza).

UN NATALE DISEGUALE PER TUTTI – Se davvero un uomo panciuto e con la barba bianca avesse percorso il globo in lungo e in largo nella giornata di ieri, si sarebbe accorto che non è un Natale uguale per tutti. Avrebbe visto fiotti di persone occidentali affollare i centri commerciali e muoversi come automi alla ricerca sfrenata di un presente. Passando sopra Idlib, Damasco e Hama, avrebbe visto dei profughi tornare alle loro case e abbracciarsi e gioire per la caduta di un regime. E giù per la Libia, se si fosse infilato nei comignoli dei lager che l’Italia finanzia, magari avrebbe visto appesi uomini e donne come addobbi, in attesa che qualcuno pagasse un riscatto per la loro libertà. E così via, dall’estrema pinguedine di un ragazzotto americano in sovrappeso e dalla faccia butterata al volto smagrito di un bimbetto palestinese scampato per miracolo alle bombe israeliane, si sarebbe accorto della morte del dono e dalla distruzione dell’incontro. Questo è il nostro misero Natale.

IL DONO COME PRESENTE – Nel 1956, Leonardo Sciascia, nel suo Le parrocchie di Regalpetra, descriveva la miseria dei siciliani attraverso il Natale dei bambini. Quel Natale povero, passato a giocare a carte e in passatempi privi di valore, era specchio della deprivazione delle famiglie dell’epoca. Oggi, a distanza di più di settant’anni dall’uscita dell’opera, il Natale occidentale è ancor più misero di quando era povero.

Jacques Derrida, già a suo tempo, sottolineava il rapporto stretto, problematico tra dono e tempo. Riflessione che calza come un abito su misura al Natale macchinale dell’Occidente. Il dono è lentamente divenuto un “presente” e, intrappolato in una temporalità consumistica, si è trasformato in corrispettivo. Dono perché il beneficiario sappia che ho donato – non farei mai un pacco anonimo! -, così che in qualche modo io abbia il mio corrispettivo.

Il consumismo ha spogliato la festa della sua dimensione cristiano-cattolica, illudendo il consumatore di aver emancipato il popolo dalla dimensione religiosa, e compiendo solo una fraudolenta sostituzione: al posto del dio dei cattolici arriva il dio dell’utile e del piacere. Il potere economico – oramai post-strutturale – ha chiuso le porte a ogni elemento sacro, e ha aperto le gambe alla sfrenatezza del piacere. Un ciclo ossessivo in cui il dono è solo la risposta a un altro dono, privo di significato profondo e di valore concreto. Il dono è presente, confinato in una temporalità ciclica, consumato nell’immediato; brucia alla stessa velocità di un fiammifero. Un Natale fatto di presente è decisamente svuotato da quel senso di nascita e di rinnovamento ecumenico che la sua radice intenderebbe attribuirgli.

L’INCONTRO CON L’ALTRO E LO STRANIERO – Eppure non intendiamo soccombere sotto la fatale scure del depauperamento esistenziale. Riteniamo che nel “disco rigido” degli occidentali permanga una certa forma di resistenza allo straniamento e all’individualismo monadistico. Alla guisa di una piccola fiammella, offuscata e soffocata da strati di consumismo ed edonismo, l’uomo occidentale vive intimamente la radice prima del Natale. Sa, dunque, che Natale è soprattutto incontro e incarnazione nell’altro.

L’incontro come sinonimo di rinuncia al superfluo e al divisivo. Incontro come svuotamento – kenosis – che Cristo vive per incontrare il suo popolo. Incarnazione desacralizzante che si trova a metà fra cristianità e filosofia dell’accoglienza, in cui l’arrivo dell’altro sancisce l’inizio di una nuova etica. Qui da Gesù Cristo a Levinas è un attimo. Proprio perché nell’incontro con l’altro, nel riconoscimento del suo volto e della sua somiglianza con sé, l’io ritrova l’etica fondamentale. Un’etica pre-ontologica e pre-epistemologica, in grado di riconoscere nell’accoglienza il fondamento del rispetto e della responsabilità verso la vita altrui. In salsa contemporanea, un crocicchio in cui s’incontrano Jacques Derrida (dono è assenza), Emmanuel Levinas (l’etica è incontro) e Gesu Cristo (la vita è svuotamento): tutti legati dall’attuale pensiero kenotico, pronti all’accoglienza e alla (re)incarnazione desacralizzante di un Natale laico.

NATALE COME ASSENZA DI DONO – Scegliamo quindi in queste righe di inaugurare un Natale differente, intransigente nei confronti della sfrenatezza individualista del consumo e dell’allontanamento alla frontiera. Fuori dalla temporalità ciclica di un sistema che desidererebbe veder campeggiare solo il presente al centro del tavolo, scegliamo di figurarci una tavola spoglia e svuotata; dove l’assenza cristiana del dono è presenza umana dell’incontro.

Volgiamo lo sguardo preoccupato allo straniero, che da ogni parte del mondo lascia la sua terra per iniziare un viaggio. Pensiamo alle migrazioni, all’esternalizzazione delle frontiere, alle deportazioni e al genocidio palestinese. Guardiamo tutto ciò e scegliamo di non celarlo dietro la figura imbellettata di un presente. Di questo misero Natale salviamo solamente una cosa: l’inizio di una nuova campagna per difendere l’incontro e lo straniero, ripensando il sistema dell’integrazione e dell’accoglienza in Italia in maniera multidisciplinare. Alla frontiera, lì dove l’altro incombe come un onda sugli scogli, vediamo l’unica forma possibile di Natale, un rinnovamento kenotico.

di Domenico Birardi

Attivista politico e studente della Facoltà di Giurisprudenza a Taranto all'Università Aldo Moro.

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