In “Hard times” già a metà del XIX secolo Charles Dickens aveva saputo descrivere con la consueta abilità narrativa e con grande ironia i pericoli che la Rivoluzione industriale, già iniziata in Inghilterra, avrebbe potuto provocare in un futuro non troppo distante: il romanzo ci parla di una città immaginaria dove tutto viene gestito in base alla filosofia caratterizzante di quell’epoca, ovvero l’utilitarismo. Per farla breve, gli eventi porteranno alla distruzione della famiglia dei protagonisti ed ad una classica redenzione finale; ma cosa è l’utilitarismo, effettivamente?
L’UTILITARISMO – Si tratta di un pensiero filosofico che consiste nel mettere al primo posto, come faro indiscusso, l’utilità a livello individuale e sociale come grado di valutazione della bontà di qualcosa o di qualcuno: di qualunque cosa, di qualunque individuo. Dunque in quest’ottica solo ciò che apporta un beneficio in termini pratici e prettamente misurabili può essere degno di essere considerato come qualcosa di valore, che apporta effettivamente qualcosa di meritevole nelle nostre vite; ebbene dai tempi di Dickens questo pensiero nella società occidentale non è mutato, anzi si è espanso, sia a livello di intensità che a livello geografico.
IL RISULTATISMO – La società liberalcapitalista infatti a livello mediatico propugna una gran quantità di valori umani meravigliosi che si proporrebbe di applicare, come l’inclusività o la tolleranza o il rispetto della diversità e della specialità intrinseca di ogni essere umano. Tuttavia è sempre bene ricordare che la propaganda non esiste solo nei mondi lontani abitati da altrui, ma esiste ovunque ed è il filtro attraverso il quale noi spesso siamo portati a guardare erroneamente il mondo che ci circonda: ed il sottoscritto, nella realtà, nei suoi momenti di lucidità riesce purtroppo ad osservare una società sempre più atomizzata, competitiva, spietata, disumanizzata!
Questo perché l’utilitarismo è entrato a gamba tesa nelle nostre vite da generazioni, ed ha portato con sé come figlio un altro elemento fondamentale: il risultatismo. Risultatismo significa essere valutati unicamente in base al criterio di successo o fallimento, senza sfumature, senza considerare il percorso.
Alle ultime Olimpiadi appena trascorse abbiamo avuto forse il primo caso di ribellione mediatica a questo mantra da parte di tanti giovani atleti, un accadimento da non sottovalutare. Forse siamo tutti davvero stanchi di vivere così, ma non abbiamo il coraggio di ammetterlo perché ciò implicherebbe l’implicita ammissione di aver percorso un vicolo cieco per troppo tempo.
Non è un caso che questi siano anche i tempi in cui il consumo e spesso l’abuso di psicofarmaci hanno raggiunto un picco assolutamente preoccupante, in particolare tra i ragazzi: si cerca di combattere l’ansia che la stessa società contribuisce a generare quotidianamente imponendo modelli impossibili, fomentando la competitività tra individui e categorie, eliminando la possibilità della comunità come mezzo di salvezza collettivo. In tutto questo allora ad un certo punto si salvi chi deve, ma in quanti realmente si vogliono salvare a simili condizioni? In tanti purtroppo ad un certo punto decidono di ritirarsi dalla gara e basta. Questi sono sempre di più ormai, ed è così che una civiltà lentamente agonizza!
Bisogna allora comprendere che l’alternativa esiste, ma solo nel momento in cui si effettua un cambiamento di pensiero radicale: non sarà lucidando le maniglie sul Titanic che si salverà la nave, dunque è inutile perdere tempo in tafferugli ideologici di vario tipo. O si capisce che in una società globalizzata di massa, come è quella in cui viviamo ormai da tempo, rimanere umani è il primo e più importante passo per la salute e per il benessere, o probabilmente siamo destinati a divenire dei mostri peggiori di quelli che avremmo mai potuto immaginare; d’altronde, cosa c’è di più mostruoso ed intrinsecamente psicopatico dell’assimilare gli oggetti alle persone? Eppure signori, questa è la “normalità” del “migliore dei mondi possibili” in cui viviamo.