Sab. Ott 12th, 2024
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Articolo a cura di Mattia Pio Carlucci per la parte mitologica e Rossella Liotine per la ricerca etimologica.

Nel lontano regno di Frigia viveva re Tantalo, figlio di Zeus e della principessa Pluto. Grazie al suo nobile lignaggio, egli godeva del beneficio di sedere a tavola con gli dèi ai loro banchetti sull’Olimpo. La sua posizione privilegiata gli permetteva ascoltare le conversazioni e le trame degli olimpici. Sebbene avesse diritto a tutta l’ospitalità degli dèi, quando visitava la dimora celeste Tantalo non aveva rispetto dei suoi ospitanti. Dopo aver lasciato l’Olimpo, egli raccontava i segreti degli dèi, che ascoltava durante i banchetti.

In un’altra occasione, rubò dalla tavola l’ambrosia, cibo che conferiva l’immortalità, e quindi riservato solo agli dèi. In quanto onniscienti, gli olimpici sapevano tutto riguardo ai misfatti di Tantalo; tuttavia, poiché gradivano la sua compagnia, ignoravano le sue azioni e non lo punivano.

Tantalo volle ripagare l’ospitalità dei suoi consanguinei con un banchetto nel suo palazzo. Zeus, Ermes e Demetra accettarono l’invito. Il re partecipò lui stesso ai preparativi per la grande festa: voleva che l’evento fosse perfetto in tutti i suoi dettagli, in modo che gli dèi gli dessero ancora più benedizioni. Fece chiamare suo figlio Pelope e disse: «Figlio mio! Oggi avrai l’onore di dividere la tavola con gli dèi dell’Olimpo.»  

«Grazie mio caro padre, finalmente avrò come te il privilegio di sedermi a tavola al cospetto del mio glorioso nonno» esclamò il giovane Pelope, che camminava ora raggiante verso la sua stanza per prepararsi al meglio che poteva. Tantalo chiamò il cuoco e disse che oggi avrebbe preparato il pasto più splendido che avesse mai fatto. Dopodiché, il re sussurrò qualcosa nell’orecchio del cuoco, che non poteva nascondere la sua naturale preoccupazione.

Gli dèi arrivarono a palazzo, dove furono accolti con tutta riverenza. Il maestoso banchetto iniziò ad essere servito agli ospiti, che cominciarono a parlare di diversi argomenti. Dopo un po’ di tempo, Zeus chiese: «Dove è mio nipote? Hai detto che sarebbe stato tra noi quest’oggi.»

«Non preoccuparti, padre mio. Presto sarà a tavola con te e con noi tutti.»

Giunse dunque il momento della portata principale. Il cuoco portò un bellissimo stufato dall’aroma ineguagliabile. Demetra, profondamente triste per la partenza della figlia Persefone per il regno dell’Ade, divorò lo stufato, sperando di veder tornare il buonumore. Tantalo servì lo stufato anche a Zeus ed Ermes. I due, però, si scambiarono sguardi sospetti e presto capirono cosa avevano dinanzi a loro.

«Non vi piace la mia offerta?», sorrise Tantalo nel vedere il loro disappunto.

«Creatura degenerata! Come osi servire carne umana gli dèi!?», ribollì Zeus dalla furia.

«Non è un mero sacrificio umano, padre mio. Questo è più grande olocausto della storia! Ti offro la carne del mio primogenito per onorare la nostra famiglia!», disse esultando il folle Tantalo.

Demetra, che aveva già mangiato un grosso pezzo di carne, si sentì male e decise di sputare via ciò che aveva ingerito.

«In passato abbiamo chiuso un occhio sui tuoi crimini, ma questo… merita di essere punito in modo esemplare!»

La voce di Zeus tuonò nella stanza e Tantalo fu mandato nel più profondo dei cunicoli del Tartaro, dove avrebbe subito una terribile punizione. Fu posto in un lago circondato da alberi da frutta. L’acqua lo copriva fino al mento e i frutti erano a portata di mano. Tantalo sentiva costantemente una fame e una sete terribili, e quando scendeva per bere, il livello del lago si abbassava, impedendogli di dissetarsi; quando invece arrivava la fame, egli cercava di raggiungere i frutti sopra la sua testa, ma un vento dirompente spingeva via i rami dell’albero.

Gli dèi decisero di resuscitare l’innocente Pelope, e lo resero ancora più bello di prima. Mancava però una delle sue spalle, quella divorata dalla dea Demetra. Zeus chiese ad Efesto di creare una spalla d’avorio per suo nipote e così fu fatto. Tornato in vita, Pelope divenne re del Peloponneso, mentre suo padre subiva un’eterna punizione nel Tartaro con gli oggetti del suo desiderio così vicini e allo stesso tempo così lontani.

La terribile vicenda di questo personaggio ha evidentemente fatto breccia nell’immaginario collettivo, se il “supplizio di Tantalo” è confluito nei modi di dire, indicando il tormento di chi desidera oltremodo qualcosa che ha a portata di mano, ma è destinato a rimanere inesorabilmente inappagato.

Inoltre, il mito di Tantalo ha conosciuto una sua fortuna anche nell’ambito linguistico, comparendo sotto forma di verbo, per la prima volta, alla fine del XVI secolo, in un componimento poetico del poeta e traduttore inglese Robert Tofte (1562 – 1620), tratto dalla raccolta Laura, The Toyes of a Traveller, Or The Feast of Fancie, 1597, Part 3, 12: «Ah doo not still my Soule thus Tantalize, / But once (through grace) the same imparadize.»[1] Nella voce verbale «to tantalize» si possono agevolmente distinguere la radice tantal-, che rinvia all’infanticida del mito, e il suffisso causativo -ize, corrispettivo dell’-ίζω (-izo) greco, -idio latino, che in italiano ha di solito esito con raddoppiamento (-izz). I suffissi causativi, aggiunti a un nome o a un aggettivo, danno vita a un verbo che ha il senso di “trasmettere a qualcosa o a qualcuno le caratteristiche di quel nome o aggettivo”[2], pertanto «to tantalize» andrebbe interpretato come “rendere qualcuno come Tantalo”, vittima di uno struggimento perenne legato proprio a ciò che sarebbe – in teoria – facilmente raggiungibile.

Sotto l’influenza anglofona, dal XVIII secolo anche la lingua italiana ha accolto voci come «tantalizzare», «tantaleggiare»[3], fino all’aggettivo «tantalico». Anche se all’apparenza sinonimi, in realtà -eggiare in «tantaleggiare», suffisso derivativo di verbi di solito intransitivi, esprime il modo di essere o di comportarsi propri del nome da cui viene tratto il verbo[4], talora con sfumatura intensiva o frequentativa[5]. In altre parole, «tantaleggiare» sarebbe più connotato dall’accezione di “indugiare in attività, pungolarsi con desideri che si sanno in partenza insoddisfabili”.

Ultima curiosità riguarda l’intrufolarsi di Tantalo finanche nella Tavola periodica degli elementi: nel 1802, il chimico svedese Anders Gustaf Ekeberg (1767-1813) scoprì un metallo di color grigio lucente simile a quello del platino, e lo denominò «tantalio» (numero atomico 73, peso atomico 180,95, simbolo Ta), perché non si scioglie negli acidi, e per lui dunque risultò paragonabile al personaggio mitico, che non può in alcun modo bere l’acqua che lo circonda nell’oltretomba.[6]


[1] https://www.merriam-webster.com/tantalizing/.

[2] https://www.treccani.it/enciclopedia/suffissi-causativi_(La-grammatica-italiana)/.

[3] Si tratta di due varianti formate a partire dal medesimo suffisso latino (-idiare), grecp -ίζειν (-izein), con esito differente, rispettivamente per derivazione dotta e popolare. Rimando a https://www.treccani.it/enciclopedia/allotropia_(Enciclopedia-Italiana)/ per l’approfondimento del fenomeno linguistico dell’allotropia, riguardante la duplice possibilità di derivazione appena citata.

[4] https://www.treccani.it/vocabolario/eggiare/.

[5] https://it.wikipedia.org/wiki/Suffissi_e_suffissoidi_della_lingua_italiana.

[6] https://www.treccani.it/enciclopedia/tantalio/.

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