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Festa dei lavoratori, riflessioni dalle ultime file

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LA STORIA – Oggi, 1 maggio, si festeggia la festa dei lavoratori, una festa che non riguarda solo l’Italia ma anche molti altri Paesi del mondo. La festa del lavoro o dei lavoratori ha una lunga tradizione. Essa fu indetta a Parigi il 20 luglio del 1889 in occasione della Seconda Internazionale come protesta per ottenere la riduzione a otto ore della giornata lavorativa.
La festa del lavoro cade il 1 maggio tanto per ricordare la conquista delle otto ore lavorative da parte dei lavoratori dell’Illinois (1867), quanto per non dimenticare i sanguinosi scontri del 1886 a Chicago per reprimere lo sciopero generale indetto dai lavoratori. Ma la tragedia e i massacri non terminarono qui. Tre giorni dopo, a Chicago, ci fu il massacro di Haymarket Square: in occasione di un incontro organizzato da lavoratori e lavoratrici anarchici, un ignoto gettò una bomba su un gruppo di poliziotti, cagionando 11 vittime.

Dietro la festa dei lavoratori c’è tutta questa considerevole storia fatta di rivendicazioni e proteste per sottrarre la classe operaia al triste destino dei soprusi e della subalternità.  Ad oggi la festa dei lavoratori ricorre in Paesi come l’Italia, Cuba, Russia, Cina, Messico, Brasile, Turchia e i Paesi dell’Unione Europea. Quanto all’Italia, questa ricorrenza fu abolita durante il regime fascista per essere sostituita dal cosiddetto Natale di Roma del 21 aprile, in onore della fondazione della Capitale. Dal 1947 la festa del lavoro o dei lavoratori divenne festa nazionale.

RIFLESSIONI DALLE ULTIME FILE – In questo giorno di commemorazione dei diritti dei lavoratori e delle lavoratrici mi piacerebbe assistere a un risveglio sociale delle menti, senza ricadere nel comunissimo errore che accompagna ogni giorno commemorativo di festa: il consumismo anestetizzante che colloca nelle ultime file il vero significato implicito in giorni importanti come questo. La dura e vera realtà è che molti Paesi del mondo non festeggiano questa festa,  ma soprattutto molti lavoratori conoscono sulla propria pelle l’esperienza della repressione lavorativa caratterizzata da lunghe ore di lavoro e da una retribuzione iniqua. Come le due facce di una stessa medaglia ignare di cosa ci sia dall’altra parte, accanto allo sfruttamento degli operai vi è l’inconsapevole e poco sostenibile iper-consumismo.
Il rapporto fornito dalla società di consulenza Dr-Export, in tema di delocalizzazione aziendale, rende noto che grandi e piccole imprese optano sempre più per la delocalizzazione dei propri centri di produzione in cambio di benefici e vantaggi economici. La delocalizzazione avviene principalmente in Paesi asiatici, come la Cina, nei quali i costi di produzione sono minori.

Le equivalenze sono davvero molto semplici: minori costi di produzione (trasporti, lavoratori, materie prime e tasse) significa maggiore competitività dell’impresa a livello nazionale e internazionale; la seconda e più triste equivalenza, invece, si conclude con un segno negativo in termini di tutela dei diritti dei lavoratori. Infatti, tra i minori costi di produzione rientrano i costi della manodopera e tutto l’apparato di tutela che dovrebbe essere predisposto per i lavoratori e che, in Paesi come questi, è pressoché inesistente.
Ma come si fa a tutelare il lavoro, pagare bene l’operaio senza sfruttarlo? Io credo che non sia possibile o comunque, laddove siano stati fatti dei progressi, non è comunque mai sufficiente per raggiungere una piena e soddisfacente tutela dell’operaio. Ciò è dovuto al semplice fatto che gli ingranaggi di funzionamento del capitalismo sono malsani. Il grande e ingeneroso profitto dei Paesi più ricchi si regge sulla ineguale distribuzione delle ricchezze e sulla falsa propaganda “dell’uguale ripartizione dei sacrifici tra gli individui”. Sulla via dell’incremento del PIL di un Paese vengono compiute scelte pessime, le cui conseguenze ricadono sulla testa di chi occupa l’ultima fila di un teatro: gli inascoltati.

Nella lungimiranza del pensiero gramsciano, mi disilludo del fatto di poter assistere a un cambiamento dello stato delle cose e mi tappo le orecchie davanti alle pubblicità del progresso che blaterano di sacrifici democratici ed egualitari, mentre io assisto solo a sacrifici che ricadono sempre e solo sugli stessi soggetti.

“Quale il punto di riferimento per il nuovo mondo in gestazione? Il mondo della produzione, il lavoro. Il massimo utilitarismo deve essere alla base di ogni analisi degli istituti morali ed intellettuali da creare e dei principi da diffondere: la vita collettiva e individuale deve essere organizzata per il massimo rendimento dell’apparato produttivo”
Antonio Gramsci 

In giorni come questo il mio pensiero va al lavoratore immesso nella catena di montaggio, ai tirocinanti non retribuiti, agli studenti con la penna in mano desiderosi di sapere, ai titolari di partite IVA senza un giorno di ferie, alle lotte lavorative fallite miseramente, al disoccupato, al bracciante agricolo con le mani che profumano di terra, al lavoratore che trascorre intere giornate in ufficio davanti al PC, a tutti quelli che desiderano migliori condizioni di lavoro.
Buon primo maggio.

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