Non un passo indietro: queste le parole pubblicate sui social da Giovani Palestinesi in risposta al divieto opposto dalla questura di Roma alla manifestazione nazionale proclamata per sabato 5 ottobre. E, nonostante l’equivocità dell’espressione adoperata – l’assonanza, volontaria o meno, con il celebre Ordine numero 227 di matrice staliniana è quantomai evidente, il messaggio risulta chiaro e forte: le realtà in lotta per la liberazione della terra di Palestina non sono più disposte a cedere nemmeno un centimetro al criminale nemico sionista ed ai suoi alleati.
Per questo, alle due del pomeriggio dello scorso sabato, migliaia di manifestanti si son ritrovati in Piazza Piramide a Roma, nonostante i molteplici impedimenti logistici e legali.
I fatti di sabato 5 ottobre a Roma han gettato ancor più luce sull’ormai evidentemente aberrante stato della democrazia nostrana.
Gli echi dei tristemente noti fatti di Genova ‘01 si son propagati a macchia d’olio nei giorni antecedenti al corteo: il comunicato del SIULP – Sindacato Italiano Unitario dei lavoratori della Polizia – il quale legittimava aprioristicamente un eventuale uso smodato di violenza da parte delle forze dell’ordine e le parole del ministro dell’Interno Piantedosi che invocava massima durezza nei confronti dei manifestanti, lasciavano presagire una concreta possibilità di assistere nuovamente ad una guerriglia urbana sulla falsa riga degli eventi di Piazza Alimonda, della scuola Diaz e della caserma Bolzaneto.
E, seppur – fortunatamente – questi nefasti presagi non si sian tramutati in realtà, la manifestazione di Piazza Piramide, culmine, fino ad ora, dell’agitazione politica che attraversa l’Italia ed il mondo dal 7 ottobre dell’anno scorso, nasconde in sé il potenziale per passare alla storia come data spartiacque della storia recente.
L’inasprimento del genocidio del popolo palestinese perpetrato dal criminale stato di Israele a partire dal 7 Ottobre scorso ha dato vita ed adito a scenari politici inediti, totalmente impensabili fino a nemmeno un anno fa.
Nell’ultimo anno, è stata la guerra fra Russia ed Ucraina, assieme alla catastrofe umana attualmente in corso in Medio Oriente, a scuotere l’opinione pubblica: due questioni all’apparenza assai similari ma che celano differenze sostanziali.
Quello russo-ucraino è un conflitto completamente addentro al giuoco del Capitale, che delle sue logiche si nutre e si fregia e che, reso avulso da esse, perderebbe totalmente di legittimità. La contesa attualmente in corso fra Russia ed Ucraina non è che la realizzazione materiale del rapporto di forza fra due dei massimi capitali del nostro mondo, espletato attraverso la loro deriva imperialista: quello della Russia putinista contrapposto a quello statunitense, malcelato sotto le mentite spoglie del Patto Atlantico della NATO.
Al contrario, le tensioni da settant’anni vigenti in Medio Oriente sottendono una naturale – forse addirittura plateale – intersezionalità: lottare per la liberazione della Palestina equivale a lottare olisticamente contro un sistema organico di cose, contro un’egemonia economica e culturale. Lottare per la liberazione della Palestina significa aver fatto proprio – consapevolmente o inconsapevolmente – il valore dell’antimperialismo, cardine del pensiero e della lotta anti capitalista.
Ogni colpo sparato sul nemico sionista in Italia colpisce chi comanda recita la canzone Palestina Rossa di Umberto Fiori del 1973 e credo che, oltre una certa orecchiabilità, questo verso ci possa regalare la più lucida lettura possibile su ciò che il genocidio oggi in atto realmente significa.
Lo stato di Israele viene spesso definito – in maniera chiaramente faziosa e fuorviante – l’unica democrazia del Medioriente. Con ciò cosa si vuole intendere? Qual è la narrazione che questa affermazione data per fattuale nasconde?
Questa frase – il più delle volte pronunciata dai governanti degli Stati occidentali, quindi filosionisti – allude, in maniera anche piuttosto esplicita, alla reale natura dello Stato di Israele: uno “Stato” occidentale, con legislazione occidentale e cultura forzatamente occidentalizzata, trasportato in Medio Oriente. Lo stato di Israele esiste unicamente in quanto colonia, in quanto garante degli interessi occidentali in un mondo che spesso ci pare sideralmente distante dal nostro. L’entità sionista esiste solo ed esclusivamente in virtù dell’appoggio – militare, politico, economico ed egemonico – degli Stati appartenenti al patto NATO, i quali garantiranno ad Israele un quieto vivere, esente da ogni biasimo fino a quando i propri interessi economici perdureranno.
Assunto per ovvio tutto ciò, risulta assolutamente impensabile un conseguimento degli obiettivi preposti dalle piazze pro-Palestina (una terra di Palestina libera dal fiume al mare) senza un parziale – o addirittura totale – stravolgimento dello status quo oggi vigente. È impensabile uno Stato di Palestina libero dal giogo dell’occupante sionista in un mondo ancora addentro al giuoco del Capitale: fin quando gli interessi economici occidentali in Medio Oriente perdureranno, fin quando chi nutre questi interessi economici deterrà il monopolio della violenza e controllerà l’informazione, Israele verrà amnistiato qualunque sia la nefandezza commessa.
Osservando il fermento sociale e politico che agita il mondo dal 7 Ottobre scorso attraverso quest’ottica, l’azione messa in atto dal governo italiano, attraverso il recentemente varato e contestato disegno di legge 1660, risulta essere il primo vero comportamento autenticamente fascista – non soltanto autoritario – del governo più a destra della storia della nostra repubblica.
È dal 25 settembre di due anni fa – giorno nel quale FDI ed il centrodestra tutto ha conseguito la propria vittoria alle urne – che si biasima l’attuale governo per i propri richiami ideologici – a volte impliciti, a volte meno – al fascismo italiano. Queste accuse altro non han fatto che intensificarsi in seguito all’inchiesta aperta da Fanpage riguardo Gioventù nazionale, la giovanile del partito di Giorgia Meloni: le immagini mostrano i giovani militanti, accompagnati da parlamentari, europarlamentari ed, in generale, esponenti dell’attuale destra di governo, intenti in proclami di natura neofascista e neonazista. Ma non sono i richiami ideologici – o almeno non solo – di giovani militanti a far di un partito un’organizzazione di stampo neofascista.
Dalla sua ascesa al governo, FDI ha indubbiamente imposto una stretta autoritaria, andando a ledere numerosi diritti civili e sociali conquistati con anni di lotte. Ma mai aveva realmente mostrato il suo volto fascista.
La strategia messa in atto nei confronti dei manifestanti Pro-Palestina e, più specificamente, nei confronti della piazza del 5 Ottobre a Roma ricalca pienamente il più fascista fra i comportamenti che un governo possa assumere: in un momento di forte agitazione politica e contestazione nei confronti della linea di governo, l’informazione, con ogni mezzo a sua disposizione, crea un’aura di terrore attorno al movimento contestatario ed alle sue idee, legittimando un intervento repressivo da parte degli organi statali.
In questo senso, il governo di Giorgia Meloni, nonostante i richiami ideologici ormai nemmeno celati al ventennio italiano, ricorda, in maniera anche piuttosto evidente, il fascismo di stampo sudamericano, quello di Augusto Pinochet e di Jorge Videla: un fascismo “afascista”, una tipologia di fascismo che, a differenza delle proprie “varianti” italiane e tedesche degli anni ‘30, non desidera creare un uomo nuovo, totalmente addentro alla propaganda di regime ma che, al contrario, si pone come obiettivo quello di depoliticizzare totalmente la popolazione, smorzando le istanze progressiste e rivoluzionarie e garantendo lunga vita indisturbata allo status quo del Capitale.

Il DDL 1660 è il primo atto autenticamente fascista dell’attuale governo; e non è da considerarsi fascista in quanto impone una stretta autoritaria, lo è in quanto disegno di legge autoritario e repressivo in un momento quantomai fertile per l’attecchimento delle idee portate avanti dalla sinistra extraparlamentare ed antiparlamentare, unico oppositore dello status quo. Il fascismo, in questo caso, ritorna ad assumere, come sosteneva György Lukács, il proprio ruolo storico di guardia bianca del Capitale.
Letta in questa chiave, l’ascesa al governo in molti paesi dell’Europa occidentale delle destre estreme risulta centrale nel donare una linfa vitale nuova alla sinistra radicale ed anticapitalista.
È dal 9 Novembre 1989, giorno della caduta del muro di Berlino – forse la vera data in cui la definitiva vittoria del neoliberismo s’è fatta palese e s’è imposta nell’immaginario d’ognuno, che s’attende un’occasione così. Un’occasione che permetta allo status quo – impostosi come unico sistema possibile, come unico sistema di pensiero reale e razionale – d’esser interrogato nuovamente riguardo la propria legittimità.
Quando le tensioni che oggi tengono banco in Medio Oriente verranno consegnate alla storia, venendo spogliate, dal trascorrere degli anni, di ogni fare propagandistico e demagogico, la verità verrà fuori limpidamente. E sarà crudele con noi: i governanti dei nostri paesi, da noi democraticamente eletti, hanno permesso che un genocidio avvenisse indisturbato, senza opporre minimamente resistenza.
Dalla Shoah son trascorsi ottant’anni. Ottant’anni in cui altro non si è fatto che ricordare, commemorare, ammonire generazioni e generazioni riguardo quelli che son stati i crimini di genocidio e pulizia etnica di cui la barbarie nazifascista s’è macchiata.
Ottant’anni in cui la Giornata della memoria, il 27 Gennaio, ha assunto le forme di una Pasqua Politica: una giornata in cui ricordare la morte e la rinascita dell’umanità.
Ottant’anni in cui questo ricordo s’è cristallizzato, inaridito; ottant’anni in cui un evento traumatico per la civiltà occidentale tutta si è tramutata in una banale ricorrenza, in un giorno sul calendario.
Ottant’anni in cui le fotografie in bianco e nero scattate a Birkenau ed a Mathausen pare siano diventati utili unicamente a suscitare il pianto, a solleticare le sensibilità più deboli; come un ricordo terrificante che si cerca di dimenticare e che, se rivangato, torna a creare dolore. S’è persa la funzione di monito a cui quelle foto presiedevano: le vittime di allora son diventate carnefici ed i carnefici di allora son diventati i – taciti e non – sostenitori di un massacro che ha a che fare con la Shoah molto più di quanto potremmo istintivamente credere.
La liberal-democrazia ha definitivamente fallito: il sistema che avrebbe dovuto schermare il ritorno dei fascismi se ne sta servendo nuovamente per proteggere se stesso; il sistema che avrebbe dovuto far sì che scempiaggini come la Shoah mai più si ripetessero è lo stesso che rende inevitabile lo sterminio del popolo palestinese.
Mai come oggi, negli ultimi trent’anni, il neoliberismo aveva tanto platealmente espresso la propria essenza inumana ed insitamente violenta: la catastrofe umana in atto in Medio Oriente ha spalancato gli occhi riguardo l’insufficienza degli strumenti a disposizione delle nostre liberal-democrazie, sempre in bilico – come già denunciava Marx a metà del XIX secolo – fra l’empireo del bene comune e la putredine della “terra”, dell’innata tendenza del capitale a proteggere ed eternare sé stesso.
Ma se fino ad ora mai s’eran presentate occasioni propizie perché il capitale mostrasse il suo vero volto, la riproposizione degli scenari politici antecedenti la Seconda Guerra Mondiale – l’ascesa dei fascismi ed il razzismo sistematizzato che culmina nel genocidio – pone la Sinistra tutta davanti ad un bivio: estinguersi nella repressione o recuperare le proprie istanze radicali, tornando alla lotta di piazza, a cui da tempo una certa parte di sinistra aveva abdicato in favore di una politica riformista che passasse per vie istituzionali, lottando concretamente per la sopravvivenza dell’opposizione e del diritto al dissenso.