Il prossimo 29 aprile la Camera dei deputati discuterà il ddl Calderoli; e qualora dovesse essere approvato, l’autonomia differenziata diventerebbe legge pronta per essere attuata. In vista di un lungo dibattito e di un entropico ammassarsi di semplificazioni, false divulgazioni e disinformazioni d’ogni sorta, dalle pagine di questa rivista assumiamo l’impegno di spiegare, passo dopo passo, in tutti i suoi delicatissimi particolari, gli aspetti dell’autonomia differenziata.
Iniziamo a farlo partendo dal centro della questione: il disegno di legge che ne garantirà l’attuazione, il cosiddetto ddl Calderoli.
IL DDL E LE SUE FINALITÀ – Il disegno di legge disciplina la stipulazione delle intese tra Stato e Regioni per l’ottenimento di maggiori forme di autonomia in ventitré materie. Ma il progetto di legge di Calderoli non inventa nulla di nuovo: in realtà ha solo l’obiettivo di dare attuazione alle norme contenute nell’art. 116, co. 3 della Costituzione[1]. Leggendo il dettato di tale articolo, si potrà certamente arguire che la norma costituzionale è già esecutiva, dal momento che determina un procedimento chiaro, limpido per la stipulazione delle intese: «Ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia (…) possono essere attribuite ad altre Regioni, con legge dello Stato (…). La legge è approvata dalle Camere a maggioranza assoluta dei componenti, sulla base di intesa fra lo Stato e la Regione interessata». A differenza di molte norme costituzionali che necessitano di una legge ordinaria per essere attuate, il terzo comma dell’art. 116 può perciò considerarsi già esecutivo; lapalissiane dimostrazioni di ciò sono i quattro tentativi di stipulazione di intese dal 2001 al 2016 e i tre più recenti dal 2017 ad oggi. Tuttavia, non è escluso né in alcun modo vietato che si possa regolamentare con maggior precisione una norma già esecutiva, magari circoscrivendo – nel rispetto del dettato costituzionale – tutti quegli aspetti non disciplinati dalla Costituzione. E questo è esattamente quello che fa il ddl Calderoli.
IL PROCEDIMENTO DI STIPULAZIONE DELL’INTESA – Vediamo ora di comprendere il procedimento che deve essere seguito per la stipulazione delle intese (disciplinato dall’art. 2). L’atto d’iniziativa deve provenire dalla regione interessata, che deve deliberarlo secondo quanto previsto dal proprio statuto e trasmetterlo alla Presidenza del Consiglio dei ministri al Ministero degli affari regionali e delle autonomie. La procedura di formulazione della iniziativa, come si può facilmente riscontrare, non è univoca e varia di regione in regione; ciononostante, è esplicitamente prevista l’interlocuzione con gli enti locali del territorio.
Una volta ottenuta la cosiddetta richiesta, la Presidenza del Consiglio e il Ministro delle autonomie ottengono, entro sessanta giorni, i pareri dei ministri competenti per le materie oggetto dell’iniziativa e del Ministro dell’economia, anche e soprattutto per l’eventuale individuazione delle risorse necessarie[2]. Solo dopo aver ottenuto questi pareri il Governo può avviare il negoziato con la regione richiedente. Tale negoziato, è bene precisarlo sin dall’inizio, sulle materie riferibili ai Lep è condotto singolarmente, materia per materia. Prima di avviare il negoziato, il Governo deve informare le Camere e la Conferenza unificata Stato-Regioni e autonomie locali.
La scelta di avviare il negoziato e le indispensabili cautele che il Governo dovrebbe adottare in questo caso sono state il punto nodale del dibattito sull’autonomia negli ultimi anni (si veda il referendum costituzionale del 2016). L’obiezione più motivata che viene sollevata riguarda la sostenibilità del bilancio della regione richiedente. In sintesi: può o non può una regione con gravi difficoltà finanziarie richiedere maggiore autonomia su certe materie? La risposta, in mancanza di una regolamentazione stringente, è sì, perché non ci sono vincoli a riguardo. Tuttavia, sebbene in maniera non risolutiva, il ddl Calderoli prevede che «ai fini dell’avvio del negoziato, il Presidente del Consiglio dei ministri o il Ministro degli affari regionali e delle autonomie tiene conto del quadro finanziario della Regione». Il mero tener conto, in mancanza di parametri rigidi, lascia ampio, ampissimo spazio alla discrezionalità del Governo sulla scelta da fare in questo caso.
La dinamica che regola l’avvio del negoziato è improntata ad una elevata flessibilità, e permette al Governo di limitare il negoziato ad alcune materie. Inoltre, una volta raggiunto uno schema d’intesa, ad esso deve essere allegata una relazione tecnica che indichi i dati e i metodi della quantificazione, nonché ogni elemento che permetta la valutazione economica della richiesta[3].
Oltre alla elevata flessibilità delle regole del negoziato, la procedura prevede anche il costante e fondamentale coinvolgimento della Conferenza unificata Stato-Regioni e autonomie locali e delle Camere. Infatti, lo schema d’intesa viene inoltrato alla Conferenza per un parere (non vincolante), che deve essere fornito entro sessanta giorni; solo una volta decorso questo lasso di tempo, viene trasmesso alle Camere, che devono esaminarlo attraverso le commissioni competenti per materia. Il coinvolgimento delle Camere, così come quello della Conferenza, è vincolante nel metodo ma non nel merito. Le Camere possono formulare, entro novanta giorni, degli atti d’indirizzo (anch’essi non vincolanti), che saranno valutati dalle parti contraenti.
Al termine di questo doppio passaggio, della durata ipotetica di centocinquanta giorni, la Presidenza del Consiglio o il Ministro degli affari regionali e delle autonomie predispongono lo schema definitivo d’intesa. Come già detto, non è necessario che lo schema vari sulla base degli atti d’indirizzo delle Camere o dei pareri della Conferenza unificata, dal momento che la libertà di stipulazione dell’intesa rimane in capo al Governo e alla regione richiedente. L’unico contrappeso, in questo caso, è dato dall’obbligo di riferire alle Camere le motivazioni della eventuale volontà di non conformarsi agli atti d’indirizzo.
Lo schema definitivo d’intesa è trasmesso alla regione richiedente, che deve approvarlo secondo il proprio statuto. Decorsi quarantacinque giorni dall’approvazione da parte della regione, il Consiglio dei ministri delibera lo schema definitivo e la relazione tecnica allegata. A questa deliberazione ne segue un’altra, avente come oggetto il disegno di legge di approvazione dell’intesa; tale ddl deve essere subito trasmesso alle Camere per la discussione e l’eventuale approvazione. Senza l’approvazione del ddl presentato alle Camere, l’intesa non può essere esecutiva.
LA QUESTIONE DEI LEP –La realizzazione dell’autonomia differenziata passa per la determinazione dei Lep: senza di essi non è possibile riconoscere alcun tipo di autonomia (così come specificato dall’art. 1, co. 2, ddl Calderoli).
Qui una breve digressione su cosa siano e quale sia la loro funzione sarà di certo utile ad una migliore comprensione della questione. I Lep sono letteralmente «i livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali dei cittadini che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale» [4]; essi consistono nei servizi e nei diritti che non possono essere garantiti in maniera diversa sul territorio, proprio per via della loro importanza e imprescindibilità. Compresa, però, la loro natura formale, il nocciolo della questione è da ritrovare nella loro determinazione, e nel metodo e nel merito.
Per queste ragioni, il ddl Calderoli contiene una delega al Governo per l’emanazione di decreti attuativi, entro 24 mesi dall’approvazione, finalizzati alla determinazione dei Lep (articolo 3). Anche in questo caso, il coinvolgimento delle Camere e della Conferenza unificata è presente e non eludibile. Gli schemi di decreto attuativo sono delineati dal Governo, sentito il parere della Conferenza unificata (chiaramente non vincolante), e subito dopo trasmessi alle Camere per un esame – il procedimento è analogo a quello previsto per la stipulazione delle intese. Le Camere si pronunciano con atti di indirizzo entro quarantacinque giorni; qualora il Governo non dovesse conformarsi agli atti di indirizzo delle Camere, sarebbe costretto a riferirne le motivazioni. Dopo venti giorni, lo schema di decreto viene comunque emanato.
LE MATERIE RIFERIBILI AI LEP E IL MONITORAGGIO – Oltre alla delega, il ddl Calderoli si occupa anche di determinare quali materie sono riferibili ai Lep, poiché non tutte le ventitré materie possono esserlo. Quindi i Lep sono determinati per: norme generali sull’istruzione; tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali; tutela e sicurezza sul lavoro; istruzione (non è un refuso, è distinta dalle norme generali sull’istruzione); ricerca scientifica e tecnologica a sostegno dell’innovazione per i settori produttivi; tutela della salute; alimentazione; ordinamento sportivo; governo del territorio; porti e aeroporti civili; grandi reti di trasporto e di navigazione; ordinamento della comunicazione; produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia; valorizzazione dei beni culturali e organizzazione delle attività culturali.
La garanzia della fornitura dei Lep è oggetto di monitoraggio da parte della Commissione paritetica costituita e regolata dall’intesa tra Stato e regione richiedente, i cui metodi sono delineati dai decreti attuativi. Ogni anno la Commissione paritetica deve riferire sugli esiti del monitoraggio alla Conferenza unificata, così come il Ministro degli affari regionali e delle autonomie deve relazionare alle Camere. In questo caso è come se si costituisse un doppio canale parallelo di monitoraggio e informativa, composto da Commissione paritetica-Conferenza unificata da un lato, e Ministero degli affari regionali-Parlamento dall’altro.
Qualora i Lep non fossero forniti in maniera consonante con le determinazioni dei decreti e con le risorse stanziate, oppure semplicemente qualora la Conferenza unificata avesse delle osservazioni da fare, sarebbe per essa possibile emanare delle raccomandazioni non vincolanti. L’unico potere di sostituzione e di intervento marcato rimane sempre in capo al Governo, ben potendo esso sostituirsi alla regione in caso di emergenza o di condizioni specifiche che possano precludere la coesione sociale o il godimento dei diritti civili dei cittadini[5].
IL METODO DI DETERMINAZIONE DEI LEP – Veniamo dunque al metodo di determinazione dei Lep, aspetto fondamentale per comprenderne la loro reale natura e, soprattutto, il contenuto della riforma. Il ddl Calderoli, nel riconoscere una delega al Governo per la determinazione dei Lep, compie un accentramento di tale funzione, che prima era esercitata grazie all’attività complementare di due organi: la Cabina di regia e la Commissione tecnica per i fabbisogni standard[6].
Mentre le sorti del primo organo sono incerte, dato lo spostamento della sua funzione principale in capo al Governo, quelle del secondo paiono essere ancora legate alla determinazione dei Lep. Infatti, il disegno di legge stabilisce che l’aggiornamento dei Lep da parte del Governo deve avvenire sulla base delle ipotesi tecniche della Commissione tecnica per i fabbisogni standard ogni tre anni.
Il rapporto tra Lep e fabbisogni standard, vero e proprio argomento centrale del federalismo fiscale da oltre vent’anni, potrebbe essere spiegato pressoché in questo modo: ogni prestazione essenziale ha un costo, che deve essere ponderato in base ad una serie di dati di contesto (infrastrutture, territorio, condizioni socio-economiche, eccetera), tale costo è detto fabbisogno standard; per poter fornire in maniera adeguata i Lep in tutte le regioni, è necessario prima individuare i fabbisogni standard. Per determinare i fabbisogni è stata istituita nel 2016 la Commissione tecnica[7], che oggi lavora a stretto contatto con la Cabina di regia e che domani svolgerà la medesima funzione a stretto contatto con il Governo.
TRASFERIMENTI DELLE FUNZIONI – Dopo aver stipulato l’intesa, il passaggio successivo è il trasferimento di funzioni per ogni materia dallo Stato alla regione richiedente. Il trasferimento delle funzioni attiene alla fase cosiddetta esecutiva dell’intesa (disciplinata dagli articoli 4 e 5), e perciò non può essere attuato senza la determinazione dei Lep. Viene qui effettuata una preliminare dicotomia. Da un lato ci sono i trasferimenti di funzioni per materie che fanno riferimento ai Lep, i quali potrebbero comportare, in caso di aggiornamento, un aumento di costo; dall’altro lato troviamo i trasferimenti di funzioni per tutte le altre materie. La differenza è sottile, flebile ma non irrilevante, dal momento che l’elemento di discrimine è dato dalle variazioni di costo che potrebbero derivare da un aggiornamento dei Lep.
Le funzioni vengono trasferite a seguito dell’approvazione di DPCM (Decreti del Presidente del Consiglio dei ministri) su proposta del Ministero degli affari regionali e delle autonomie, insieme con gli altri ministri competenti per materia, con il Ministro dell’economia e delle finanze, e su proposta della Commissione paritetica costituita dall’intesa. Molte sono state le riflessioni su quest’ultimo organo, la Commissione paritetica, dato che rappresenta un organo ad hoc costituito sulla base della singola intesa (si veda la critica di Gianfranco Viesti). Dall’analisi del ddl Calderoli possiamo solamente affermare che rappresenta un organo di confronto paritetico ed è formato da una miriade di rappresentanti degli enti interessati[8].
Le funzioni trasferite sono finanziate attraverso una compartecipazione al gettito di uno o più tributi erariali maturati sul territorio regionale, ovviamente regolata dalla singola intesa.
Il processo di decentramento delle funzioni non si arresta però alle regioni e irradia anche i comuni. Infatti, le funzioni trasferite sono poi nuovamente trasferite, secondo il tanto citato principio di sussidiarietà, ai comuni, rimanendo tuttavia salve le funzioni fondamentali dei comuni stessi[9].
DURATA DELLE INTESE – Come già accennato in precedenza, la procedura di stipulazione delle intese è improntata ad un’elevata flessibilità, tantoché la durata dell’intesa è regolata dall’intesa stessa. Proprio come un contratto. Tuttavia, il limite massimo di durata è di dieci anni. Essa non deve essere intesa come categorica, perché può essere modificata – in senso peggiorativo, subendo un’abbreviazione – su proposta della regione richiedente o dello Stato.
Inoltre, l’intesa può essere oggetto di cessazione dell’efficacia, sempre su richiesta della regione o dello Stato, in una serie di casi che vengono disciplinati dall’intesa stessa. La cessazione dell’efficacia è deliberata a maggioranza assoluta dalle Camere, proprio come la legge di approvazione dell’intesa. All’infuori dei casi disciplinati dall’intesa, la cessazione può essere richiesta dallo Stato per tutti quei casi in cui ricorrano motivate ragioni a tutela della coesione e della solidarietà sociale, conseguenti alla mancata osservanza dell’obbligo di garantire i Lep. Se lo Stato o la regione richiedente non intendessero rinnovare l’intesa, dovrebbero comunicarlo almeno dodici mesi prima, altrimenti si intenderebbe rinnovata tacitamente per una durata analoga a quella stabilita inizialmente.
Ovviamente un aspetto rilevante riguarda la vigenza delle norme statali sul territorio regionale, in riferimento alle materie oggetto di autonomia. Sempre nell’ambito del testo dell’intesa è possibile stabilire quali leggi statali non avranno efficacia sul territorio regionale.
IL MONITORAGGIO – Sono tre gli organi che possono esercitare funzioni di controllo e monitoraggio sull’attuazione dell’autonomia differenziata per ogni singola regione: il Governo, la Commissione paritetica e la Corte dei conti. Ad onor del vero, il Governo può solo avviare dei processi d’indagine e analisi sulla fornitura dei Lep, i quali non acquisiscono una natura sistematica e periodica, ma solo saltuaria e straordinaria. Il vero controllo è invece effettuato dalla Commissione paritetica, dal momento che esercita un monitoraggio annuale sugli aspetti economico-finanziari della fornitura dei Lep, garantendo anche che i fabbisogni standard e le risorse finanziarie derivanti dalla compartecipazione al gettito siano allineati. Qualora dovesse esserci un disallineamento, la Commissione dovrebbe proporre al Governo, nello specifico al Ministro dell’economia e delle finanze, di variare le aliquote sino alla sovrapposizione delle due grandezze. Da ultimo, una certa forma di controllo viene anche effettuata da parte della Corte dei conti, che si occupa di verificare la consonanza tra gli oneri finanziari derivanti dall’autonomia differenziata e gli obiettivi di finanza pubblica.
LE CLAUSOLE FINANZIARIE – Uno degli aspetti su cui si è dibattuto maggiormente è la previsione dell’attuazione dell’autonomia differenziata in assenza di ulteriori aggravi per il bilancio dello Stato. È bene specificare che ciò non vuol dire che questa riforma verrà attuata senza spese, ma che i denari necessari ad attuarla saranno presi dagli stanziamenti di bilancio attuali. Inoltre, è specificato che la stipulazione delle intese con singole regioni non pregiudicherà l’attribuzione di risorse finanziarie alle altre regioni a statuto ordinario.
LE MISURE PEREQUATIVE – Quasi quale contrappeso alla possibilità di stipulazione di forme alternative di autonomia, è previsto – sotto l’insegna di «misure perequative» – un non meglio precisato lavoro di promozione e tutela dei diritti civili e sociali di tutti i cittadini e dell’unità nazionale (articolo 10). Tale perequazione consiste nell’unificazione e nel riordino di tutte le forme di finanziamento in conto capitale per favorire la coesione sociale e l’eliminazione del divario tra i territori; nella semplificazione normativa; nell’effettuazione di interventi speciali; e nell’individuazione delle misure che possano colmare gli svantaggi e il divario infrastrutturale. Tutte queste attività sono finanziate attraverso gli strumenti di programmazione economica (Def, legge di bilancio e leggi integrative).
Rimangono, chiaramente, salve tutte le norme che attengono alla costituzione del fondo perequativo in materia di federalismo fiscale, così come previsto dalle norme attuative dell’art. 119 della Costituzione, e all’attuazione dei traguardi del PNRR per il primo trimestre del 2026.
UN’ANALISI SOLO PARZIALE – Giunti all’epilogo, ci parte quantomeno opportuno rimarcare che le righe precedenti sono il frutto di un’interpretazione solo parziale e per nulla esaustiva della questione. Potrebbero definirsi, a rigore, solo una divulgazione giuridica degli aspetti tecnici della norma; ancora davvero poco per farsi un’idea, ma un passaggio necessario. L’unico obiettivo di questo breve articolo era quello di iniziare un percorso di spiegazione, e speriamo di esserci riusciti.
Ma per giudicare la legge sull’autonomia differenziata è necessario tanto altro. Bisogna, insomma, osservare la questione in maniera saggistica, non tralasciando nessuna delle sue tante facce e conseguenze. Continueremo questo lavoro di divulgazione e spiegazione nei prossimi articoli.
[1]Ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, concernenti le materie di cui al terzo comma dell’articolo 117 e le materie indicate dal secondo comma del medesimo articolo alle lettere l), limitatamente all’organizzazione della giustizia di pace, n) e s), possono essere attribuite ad altre Regioni, con legge dello Stato, su iniziativa della Regione interessata, sentiti gli enti locali, nel rispetto dei principi di cui all’articolo 119. La legge è approvata dalle Camere a maggioranza assoluta dei componenti, sulla base di intesa fra lo Stato e la Regione interessata.
[2] L’obbligo di individuare le risorse necessarie al riconoscimento di maggiori forme di autonomia alle regioni a statuto ordinario era già previsto dall’art. 14, l. 42/2009.
[3] L’allegazione di una relazione tecnica è obbligatoria secondo quanto disposto dall’art. 17, co. 3, l. 196/2009, in cui viene stabilito che «i disegni di legge, gli schemi di decreto legislativo, gli emendamenti di iniziativa governativa che comportino conseguenze finanziarie devono essere corredati di una relazione tecnica, predisposta dalle amministrazioni competenti e verificata dal Ministero dell’economia e delle finanze, sulla quantificazione delle entrate e degli oneri recati da ciascuna disposizione, nonché delle relative coperture, con la specificazione, per la spesa corrente e per le minori entrate, degli oneri annuali fino alla completa attuazione delle norme e, per le spese in conto capitale, della modulazione relativa agli anni compresi nel bilancio pluriennale e dell’onere complessivo in relazione agli obiettivi fisici previsti».
[4] Il riferimento letterale è dell’art. 117, co.2, lett. m), Cost.
[5] Tale potere è riconosciuto dall’art. 120, co. 2, Cost. Nello specifico si stabilisce che «il Governo può sostituirsi a organi delle Regioni, delle Città metropolitane, delle Province e dei Comuni nel caso di mancato rispetto di norme e trattati internazionali o della normativa comunitaria oppure di pericolo grave per l’incolumità e la sicurezza pubblica, ovvero quando lo richiedono la tutela dell’unità giuridica o dell’unità economica e in particolare la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, prescindendo dai confini territoriali dei governi locali. La legge definisce le procedure atte a garantire che i poteri sostitutivi siano esercitati nel rispetto del principio di sussidiarietà e del principio di leale collaborazione». Tale norma è attuata nel nostro ordinamento dall’art. 8, l. 131/2003, oltreché da una giurisprudenza costituzionale consolidata che ha esteso tale potere anche al rapporto tra Regioni ed Enti locali.
[6] La norma di riferimento è contenuta nell’art. 1, co. 791 – 801-bis, l. 197/2022. I criteri contenuti in questi commi saranno utilizzati dal Governo nell’emanazione dei decreti attuativi, e il lavoro della Cabina di regia rimarrà efficace e vincolante sino all’approvazione dei decreti attuativi. Dopo l’entrata in vigore dei decreti, la Cabina di regia perderà la sua funzione principale, quella di determinare i Lep, e molto probabilmente – anche se questo non è specificato nel disegno di legge – sarà abolita.
[7] Fu istituita ai sensi dell’art. 1, co. 29, l. 208/2015.
[8] Di ogni commissione paritetica faranno parte un rappresentante per ognuno dei seguenti enti: Ministero degli affari regionali e delle autonomie, Ministero delle economia e delle finanze, ministeri competenti per materia, regione richiedente, ANCI e UPI.
[9]Quando si allude alle funzioni fondamentali, si fa riferimento a quanto disposto dall’art. 117, co. 2, lett. p), Cost. Poi attuato dall’art. 19, l. 95/2012.