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Donne e violenza, Artemisia Gentileschi e l’arte come catarsi

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Artemisia Gentileschi rappresenta un simbolo, un punto di riferimento per le donne, per il dolore sopportato, la violenza subita e il coraggio nel non arrendersi mai, dando voce al suo terribile vissuto attraverso la sua immensa arte, usata come “catarsi”.

Sicuramente la sua opera più famosa è la “Giuditta decapita Oloferne”, rivisitazione dell’omologo quadro di Caravaggio (1), che racconta la vicenda biblica della bella e ricca Giuditta che, per liberare Betulia, la sua città, entra nell’accampamento degli Assiri uccidendo il generale Oloferne, mentre dorme. Senza ombra di dubbio si tratta di uno dei capolavori della storia dell’arte poiché testimonianza di un’artista donna autonoma e indipendente che riuscì a farsi spazio in un mondo, quello artistico, abitato prettamente da uomini. E questo quadro è la chiave di accesso alla vita di questa straordinaria pittrice.

LA STORIA –  Dietro questo quadro si cela la storia di Artemisia, nata a Roma l’8 luglio 1593 e figlia di Orazio Gentileschi, pittore famoso dell’epoca, conosciuto anche come un uomo burbero e dal carattere violento a causa della perdita della moglie, Prudenzia Montone. Rimasto vedovo, non si risposò, stranamente, ma affidò ad Artemisia, la sua primogenita dodicenne, l’onere di portare avanti la casa e la famiglia, composta da altri tre figli maschi. Orazio si accorgerà ben presto del talento della figlia, che si rivelerà abile con tele e pennelli tanto che gli unici momenti di intesa saranno proprio quelli che trascorrono insieme a dipingere nelle stanze del loro laboratorio. In quelle stanze l’orgoglio di padre farà sì che lo porti ad affidare quella figlia ad un altro pittore famoso, Agostino Tassi, affinché questi le insegni la prospettiva. Involontariamente Orazio sarà causa della più grande sofferenza di Artemisia.

LO STUPRO – Il 9 maggio 1611 la vita di Artemisia cambierà bruscamente perché sarà violentata proprio dal Tassi che, invaghitosi della giovane, si introdusse nella sua camera approfittando dell’assenza del padre. Artemisia provò a ribellarsi con forza alla prepotenza, ma riuscì solo ad infliggergli una coltellata. Il suo stupratore, improvvisamente docile, le promise un matrimonio riparatore dal momento che aveva disonorato la giovane vergine e la sua famiglia. Già al tempo esisteva il matrimonio riparatore in caso di stupro, reato che era contemplato nel codice penale dell’epoca e soprattutto nel caso in cui la vittima fosse vergine, ma restava solo un reato contro la morale e non contro la persona (2). Ma quel matrimonio, unica alternativa per una donna violata e privata dell’onore, non ci sarà mai perché il Tassi, famoso e conosciuto soprattutto tra i potenti della città, era già sposato.

IL PROCESSO – Ma sarà lo stesso Orazio Gentileschi a denunciarlo con un’accorata lettera a Papa Paolo V al fine di istruire processo contro il violentatore, il primo per stupro di cui si conservano tutti documenti nell’Archivio di Stato di Roma. Dieci mesi dopo la violenza, Agostino Tassi fu arrestato e Artemisia si ritroverà di fronte al lui in un processo che segnerà ancora più profondamente la sua vita, perché sarà la prima ad essere messa sotto accusa per accertare la verità. Già, perché il Tassi aveva messo in giro tante voci ingiuriose e nefandezze varie sulla giovane Artemisia fino a garantirsi anche false testimonianze.

LA TORTURA – Pur vittima, Artemisia verrà torturata con il metodo destinato alle donne, la tortura della Sibilla o dei “tassili”, metodo che consisteva nel mettere tra le dita della mano dei legnetti, fasciati così stretti da causare fratture multiple. E sarà un ulteriore umiliazione per la giovane donna pittrice che però, nonostante il dolore e la sofferenza, non cederà e confermerà con coraggio tutte le sue accuse. Agostino Tassi sarà condannato, potendo scegliere tra lavori forzati per cinque anni o l’esilio…sceglierà quest’ultimo. Ma in realtà restò in esilio fino all’aprile 1613, quando riuscì a farsi annullare la sentenza, restando di fatto impunito e potendo rientrare poi nella città eterna.

FIRENZE – Ad andar via da Roma sarà invece Artemisia dopo aver sposato, con un matrimonio riparatore, Pierantonio Stiattesi, un modesto pittore amico del padre Orazio. Con l’uomo si rifugerà a Firenze e troverà nella pittura lo strumento catartico per riappropriarsi del suo essere donna, e donna di talento. Rinascerà a nuova vita, darà alla luce i suoitre figli, ma, ovviamente, non amerà quel marito che la costringerà a pagare i suoi debiti, approfittando della fama che Artemisia stava creando intorno a sé. Il suo talento la porterà a farsi conoscere nella splendida città toscana e inizierà a firmare i suoi quadri con il nome di Artemisia Lomi. Il cognome Gentileschi la riporterebbe indietro nel passato che vorrebbe invece dimenticare. Sarà come se una nuova luce, come quella improvvisa che attraversa i suoi quadri, fosse entrata nella sua vita. Dapprima, conoscerà l’amore vero con Francesco Maria Maringhi, nobile raffinato quanto tenero e fedele compagno, che le starà accanto per il resto della sua vita; ma soprattutto entrerà a far parte dell’Accademia delle Arti e del Disegno di Firenze nel 1616: sarà la prima donna al mondo ad entrare in una accademia di arte. Frequenterà Cosimo II dei Medici, Galileo Galilei e soprattutto Michelangelo Buonarroti il giovane (pronipote del più grande Michelangelo) che la chiamerà a lavorare per sé ad affrescare i suoi appartamenti e Artemisia lo farà con passione e dedizione.

Di lei non si conosce esattamente la data di morte, sicuramente avvenuta dopo il 1653. Ma il suo nome resterà nella storia indelebilmente.

Artemisia è impaziente. Macina i colori, mescola le terre, accarezza le sete preziose mentre osserva la mano del padre che corre sulla tela, dando luce a uno sguardo, estasi a un volto, sofferenza a un corpo. Anche lei lo farà, prestissimo. Ecco, ha già imparato a creare la luce e l’ombra. Dipingerà sé stessa, dipingerà le donne per svelarne i dolori segreti, le passioni profonde, le lotte contro l’ingiustizia. È una donna coraggiosa, Artemisia Gentileschi: vivrà in molte città, amerà e odierà, sempre più libera, sempre più sola. E diventerà leggenda.

(da “Il coraggio di Artemisia: pittrice leggendaria” di Donatella Bindi Mondaini)

Sì, una leggenda.
Artemisia resta nella storia per la sua incredibile arte e per essere ancora oggi un punto di riferimento per tante donne. Qualche studioso ritiene che probabilmente «si fa torto alla sua opera se la si considera solo come riscatto o semplice sublimazione dalla violenze subite, poiché essa è capace di esprimere una potenza poetica che va oltre la sua vicenda biografica(3)».
E per gli appassionati e non solo per gli addetti ai lavori, oltre a ricordare la trasmissione magistrale di “Una giornata particolare” di Aldo Cazzullo dedicata ad Artemisia Gentileschi del 25 febbraio scorso(4) a cui mi sono ispirata, segnalo che giovedì 28 e venerdì 29 marzo, presso il Castello Aragonese di Taranto, i “Mille volti di Artemisia” saranno resi viventi dalla compagnia Les Tableuux- Malatheater di Ludovica Rambelli. Un’occasione unica per ammirare le performance di questi teatranti impegnati a impersonare le opere d’arte di questa pittrice straordinaria, simbolo anche dell’emancipazione femminile.

NOTE:
(1) La pittura di Artemisia Gentileschi fu oltremodo influenzata dallo straordinario Caravaggio;
(2) Si dovrà aspettare la triste vicenda di un’altra donna Franca Viola che fu stuprata nel 1966. “Franca, 17 anni da compiere pochi giorni dopo, ragazza di campagna e senza grilli ideali, si comporta in altro modo: denuncia e spedisce in galera chi l’ha stuprata. «Io non sono proprietà di nessuno», dice, «l’onore lo perde chi le fa certe cose non chi le subisce». Non era mai successo che una donna «disonorata» (non più vergine) rifiutasse di convolare a nozze con il suo violentatore”… “E infatti bisognerà aspettare ancora 16 anni perché il matrimonio riparatore venga cancellato (insieme al delitto d’onore) dalla legge 442, del 5 agosto 1981, arrivata alla fine di un lungo percorso di cui fanno parte il referendum sul divorzio (1974), la riforma del diritto di famiglia (1975) e il referendum sull’aborto. Si dovrà attendere però il 1996 perché lo stupro venga considerato non più un reato «contro la morale» bensì un reato «contro la persona» (che è stata abusata) https://archivio.corriere.it/Archivio/i-percorsi/franca-viola-nozze-riparatrici-codice-donne-122016.shtml;
(3)https://www.finestresullarte.info/arte-base/artemisia-gentileschi-vita-e-opere-grande-pittrice-seicento;
(4) https://www.la7.it/una-giornata-particolare/rivedila7/una-giornata-particolare-la-violenza-su-artemisia-gentileschi-25-02-2024-528167

di Pia Maggi

Laureata in Pedagogia nel 1988 e docente di storia e filosofia presso il Liceo Moscati di Grottaglie.

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