Una penna si sveglia a mezzogiorno tutta scazzata, reduce da una notte insonne, e decide che è il momento di deformare la realtà che la circonda. È una penna che non vuol sentir ragioni, dice le cose che non puoi dire davanti a tutti.
Quadretti ospita ciò che le passa per la testa, anzi soprattutto per lo stomaco. In questa rubrica si sorriderà, si storcerà il naso, si lavorerà d’immaginazione. Tutto questo in letture che vi ruberanno sì e no un paio di minuti. Pronti?
Un boato tellurico irrompe nella controra. La teglia di lasagna era sempre la stessa, da quarant’anni, la teglia da otto. Dieci o venti ospiti a pranzo, la teglia è quella e si adatta il resto del menù alla grandezza della porzione di lasagna che spetta a ciascuno. Ora che la teglia le è scivolata dalle mani e si è rotta in mille pezzi, un cataclisma si è abbattuto sulla casa e sui pranzi con gli ospiti presenti e futuri. Come faremo, non si producono più le teglie di una volta – come se ci fosse una ricetta segreta per le ceramica – e adesso è tutto perduto. È il maggio 1976 e l’usa e getta in alluminio in un paesino di cinquemila anime abbarbicato sul Pollino non è nemmeno concepibile. Una volta proiettata la catastrofe della teglia sul futuro imminente e remoto, è tempo di preoccuparsi della minaccia prioritaria, manifestatasi attraverso uno spettacolo orrorifico, degno delle più truculente tragedie spagnole seicentesche. La lasagna smembrata sul pavimento, che ha sputato fuori precocemente le sue viscere di carne in un bagno di sangue brodoso.
Il racconto di questa visione, scolpita nella memoria dei presenti, al pranzo di quella domenica di Festa della mamma deturpata da una simile efferatezza, sarebbe stato tramandato per tre o quattro generazioni a venire.