Sab. Apr 19th, 2025

Tassonomia dell’aldilà: le anime dei morti e la riparazione dei vivi

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Nella tradizione popolare siciliana il rapporto con la morte e con le “anime irregolari” dei defunti si configura come un sistema ordinato secondo principi di classificazione che nulla hanno da invidiare alla tassonomia scientifica. Anziché svanire in un oltretomba informe e indifferenziato, le anime dei defunti vengono distinte sulla base di criteri morali e teologici. Secondo una sorta di giustizia postuma e ultraterrena, le anime subiscono una vera e propria compartimentazione.

All’interno di questa complessa disciplina spirituale, emerge con particolare rilievo la figura della riparazione. Essa è prerogativa esclusiva dei vivi, in cui si rivela una forma sottile ma persistente di antropocentrismo. In tal modo si produce un rapporto straordinariamente dinamico tra l’uomo, l’aldilà e il divino: un triangolo di responsabilità e possibilità in cui l’iniziativa umana diventa condizione necessaria per il compimento della giustizia ultraterrena.

LE ANIME CONDANNATE – Tale classificazione opera solo per le àrmi cunnannati (anime condannate). Esse rappresentano l’estremo della trasgressione rituale e morale: morte violenta, mancanza dei sacramenti o assenza di riconciliazione con Dio. Non è un caso che vi rientrino i suicidi, gli uccisi in faide e omicidi, i giustiziati in giovane età mediante decapitazione o rogo — questi ultimi già incontrati nell’articolo precedente dedicato alle anime dei corpi decullati — e persino i morti in ospedale, luogo percepito come emblema di alienazione. Ai margini estremi si trovano anche i bambini non battezzati e le anime dei preti negligenti.

Queste anime sono in pena, cioè costrette a vagare sulla terra o a reincarnarsi in forme degradate, come cani, rospi o insetti, fino a che il mondo dei vivi non offra loro un riscatto.

CLASSIFICAZIONE E CATEGORIE – Veniamo ora al dettaglio delle categorie. In primo luogo, troviamo le àrmi in pena in senso stretto: le anime del Purgatorio. Esse patiscono in uno stato temporaneo di espiazione. Sono anime che aspettano, e che domandano la solidarietà dei vivi sotto forma di preghiere, offerte o intercessioni. Poi ci sono le àrmi sdimenticate (le anime dimenticate). Ad esse tocca la più tragica delle condizioni spirituali, poiché coincide con l’oblio. Nessuno le nomina, e in ciò risiede il loro tormento. Proprio questa loro invisibilità le rende degne di attenzione collettiva: vengono spesso incluse nelle invocazioni generiche, quelle rivolte “a tutte le anime del Purgatorio”, quasi a voler porre rimedio a una dimenticanza sociale divenuta colpa condivisa.

Continuando, ci sono poi le àrmi cunfusi di menzu lu mare (le anime dei naufraghi). Sorte doppia la loro, come doppia è la sventura che devono subire. Da un lato, l’assenza di sepoltura, e dunque la privazione di uno spazio sacro per la memoria; dall’altro, l’assenza di assistenza religiosa al momento della morte, che li priva del conforto spirituale. Queste anime vengono associate al vento, alle onde e ai suoni notturni. Da ultimo, ritroviamo le anime dei corpi decullati. Esse si collocano all’incrocio tra l’orrore e la pietà: la loro sorte violenta e la redenzione in punto di morte le rendono degne di un culto quasi parallelo.

COME SI MANIFESTANO LE ANIME CONDANNATE – Le modalità attraverso cui queste anime si rendono presenti dimostrano una forza corporea o sensoriale. Il popolo sa dove si trovano, quando compaiono e come riconoscerle.

Una credenza largamente attestata vuole, ad esempio, che le anime degli uccisi — vittime di violenza, di faide o di omicidi irrisolti — siano condannate a vagare nel luogo esatto in cui furono strappati alla vita. E non vagano per un tempo indefinito, bensì per tutta la durata che era loro destinata secondo un ordine celeste. L’anima resta incatenata al mondo, trasformando il luogo del delitto in spazio rituale del dolore.
Le àrmi cunnannati, invece, prediligono le ore notturne, e più precisamente il segmento di tempo che si estende tra il primo canto del gallo e l’alba. I loro segni sono inequivocabili: catene che stridono, urla spezzate, lamenti striscianti o suoni misteriosi come rintocchi di campane o colpi improvvisi e secchi.

Talvolta, le anime si reincarnano in forme degradate (lucertole, pipistrelli, ombre inconsistenti, botti sigillate o fuochi fatui). Emblematico è il caso delle anime dei superbi, che vengono rinchiuse in botti, costrette all’umiliazione perpetua, opposta specularmente all’arroganza che le aveva contraddistinte in vita. Un destino differente tocca, invece, alle anime dei bambini morti senza battesimo. Ogni sabato, secondo la credenza, la Madonna scende a giocare con loro, raccoglie le lacrime che hanno versato durante la settimana e le trasforma in perle che poi getta nel fondo del mare.

In un punto particolare dell’incontro tra colpa, religione e morte si colloca, infine, la missa scurdata (la messa scordata). Essa rappresenta la condanna postuma del sacerdote negligente. Il prete che in vita omise di celebrare le messe commissionate e pagate dai fedeli è costretto a officiare in eterno quelle messe non dette in chiese abbandonate o dismesse.

LE REGOLE DEL RISCATTO – Tuttavia, e questo costituisce forse uno degli aspetti più rivelatori del sistema rituale popolare, queste anime non sono definitivamente perdute. La salvezza delle anime dipende in buona parte dalla capacità della comunità terrestre di intercedere per loro. In cambio, le anime stesse possono concedere favori o interventi straordinari.

Il meccanismo centrale di questa relazione è la riparazione. Tale concetto va ben oltre la mera ricostituzione della situazione precedente al fatto contestato alle anime, e si colloca in un universo valoriale ancora fondato su una sorta di antropocentrismo residuale. Uno degli strumenti di riparazione prediletti è la messa. Come nel caso dei sacerdoti negligenti, se i fedeli offrono messe in loro suffragio e le accompagnano con digiuni ed elemosine, il loro peccato è riparato.

Un’altra forma di riparazione è la restituzione, principalmente impiegata in caso di furto. L’anima del ladro non può trovare pace finché l’oggetto rubato non viene restituito, anche se ciò avviene generazioni dopo il misfatto. La logica è inequivocabile: il torto deve essere riparato, e a farlo deve essere un uomo vivo. Tuttavia, questo legame non è affatto unidirezionale. Durante i riti domestici ci si aspetta una risposta dal mondo dei morti, che può manifestarsi in forma di rumori o segni che attestano l’avvenuta comunicazione.

LA RESPONSABILIZZAZIONE DELL’INDIVIDUO – Ora, appare evidente come la morte apra una sorta di triangolo di responsabilità tra vivi, morti e ordine divino. Ne consegue che questa struttura spirituale sia, prima di tutto, un dispositivo etico: un meccanismo di disciplina sociale che esercita un controllo sui comportamenti dei vivi. In questo senso l’aldilà, con le sue tassonomie e le sue anime in pena, è fucina di prescrizioni per il mondo dei vivi. Se si sceglie di violare certe prescrizioni, si deve anche sapere che si potrebbe rischiare di non trovare quiete nemmeno dopo la morte.

Sebbene la modernità oggi abbia eroso gran parte di queste concezioni, una labile e sottile memoria ancora permane nell’immaginario popolare e nel nostro modo di ossequiare la memoria dei defunti. In qualche modo, continuiamo a sentirci responsabili del loro benessere e della loro tranquillità, assecondando moti rituali che hanno un unica destinazione ideale: l’aldilà.

di Domenico Birardi

Divulgatore culturale e studioso di diritto, economia, storiografia e letteratura.

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